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Biografia a cura di Francesca Franco

L’uomo mortale... non ha che questo
di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia.
(Cesare Pavese, I dialoghi con Leucò)

  Carlo Guarienti nasce a Treviso il 28 ottobre 1923. La famiglia è originaria di Verona e Guarienti trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra queste due città, sensibile da subito al fascino della storia raccontata dai loro palazzi e monumenti. “Uscendo di casa – racconta l’artista – vedevo i teschi di bue impressi nei muri dei palazzi del Sammicheli e, poco più avanti, gli stessi nel romano Arco di Gavi. Ad un bambino, rimasto orfano della madre all’età di quattro anni, si raccontavano storie [...] la televisione [...] non c’era [...]. Nessuna città come Verona [...] ha una continuità storica così naturale; gli stili si contaminano tra loro [...]. Quelle storie, quelle immagini così diverse da quelle dei fumetti della televisione mi costringevano a fantasticare per ore senza mai riuscire a dar loro un senso” (Carlo Guarienti, in Colloquio con Guarienti 2000, s.p.). Grazie a uno zio che si diletta discultura e dal quale eredita il forno, all’età di quindici anni scopre la creta e plasma le prime sculture; a venti già disegna e dipinge e, dopo la licenza liceale, si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Padova. Nel 1942 si reca a Firenze, dove realizza le prime incisioni (Senza titolo, 1942, incisione su zinco) e dove ritorna nel 1944 quando sono chiamati alle armi anche gli studenti di medicina in corso. Tra il 1944 e il 1945 lavora come preparatore di anatomia artistica per l’Accademia di Belle Arti e si interessa alla psicoanalisi attraverso la divulgazione dell’opera di Sigmund Freud intrapresa da Enzo Bonaventura. Nel 1946 torna a Treviso, dove realizza un gruppo di nature morte e di ritratti e alcune opere che sono tra le più signifi cative della sua prima attività: il San Gerolamo (1946, Milano, collezione privata) e il Guerriero (ubicazione ignota). Il primo, caratterizzato da una personale rielaborazione del Quattrocento padano (da Squarcione a Mantegna, da Ercole De’ Roberti a Carpaccio) e da una giustapposizione fantastica di elementi insoliti e curiosi capace di forzare i fondamenti stessi del realismo, viene esposto nel novembre del 1947 alla I Mostra dei pittori moderni della realtà organizzata a Milano, alla Galleria L’Illustrazione italiana, da Sciltian, Pietro Annigoni e i fratelli Antonio e Xavier Bueno, fi rmatari del manifesto del gruppo che si pone in aperto confl itto con l’arte astratta e le varie correnti informali sorte in quegli anni. Dopo la mostra, Guarienti prende le distanze da Sciltian e dal suo trompe-l’oeil raggelato e aneddotico per volgersi allo studio delle antiche tecniche di pittura, in sintonia con la contemporanea ricerca del Pictor Optimus (Omaggio a De Chirico, 1948, Venezia, Galleria Contini), che conosce personalmente a Roma nel 1949 e il cui debito è ben riconoscibile nell’Autoritratto con cartiglio dello stesso anno: il primo di una lunga, ininterrotta serie di autoritratti attraverso i quali Guarienti continuerà, anche in seguito, a interrogarsi sulla propria identità, sul carattere e il senso dei propri meccanismi creativi. Quello stesso anno si laurea e, da questo momento, si dedica esclusivamente alla pittura, ma gli studi in medicina rimarranno, comunque, un elemento fondante della sua formazione. Grazie a una borsa di studio del Ministero degli Esteri soggiorna tre mesi in Spagna. Attraversa l’Andalusia, visita Toledo, al Prado di Madrid ammira la pittura di Tiziano, Velàzquez, Zurbaran, come suggerisce la Natura morta del 1950 (Roma, collezione privata). In estate espone all’Antibiennale organizzata da Giorgio de Chirico ai giardini reali di Venezia con il dipinto Guerriero, in cui rende omaggio, nella posa del personaggio e nella vegetazione del paesaggio, al Cavaliere di Carpaccio. L’anno dopo sposa Guia Calvi. Nel 1953 Guarienti organizza la sua prima mostra personale, ospitata dalla Galleria l’Obelisco di Roma e seguita, nello stesso anno, dalle personali alla Galerie Weill di Parigi, città in cui da questo momento si reca regolarmente, e alla Galleria del Naviglio a Milano, entrambe presentate da Jacques Audiberti. L’anno successivo esce la prima monografi a dedicata all’artista (Martello editore, Milano 1954), fi rmata da Giovanni Comisso, allora animatore della vita culturale di Treviso e sostenitore di giovani talenti. Stimolato dalla lezione del conterraneo Arturo Martini, ma anche dalla lettura di autori quali Ezra Pound, cat guarienti.indd 67 21/03/11 15:27 68 Marcel Proust, Italo Svevo, Robert Musil e, naturalmente, Freud, elabora una poetica fantastica e visionaria che Patrick Waldberg definirà “surrealista” (1977), testimoniata dall’opera Nascita di una natura morta (1956, Parigi, collezione Privata) apparsa nel 1956 in un momento in cui in Italia domina l’astrattismo. Quello stesso anno Guarienti partecipa alla XXVIII Biennale di Venezia (Natura morta con pesci, Testa di donna, Suonatore, 1955) e si trasferisce definitivamente a Roma, dove inizia a collaborare con la Rai per la realizzazione di scenografie. Grazie all’amicizia che lo lega a Giovanni Urbani, si interessa alle attività dell’Istituto Centrale di Restauro, dove segue lo strappo e il restauro degli affreschi e avvia una lunga sperimentazione su tecniche e materiali alternativi come la tempera all’uovo e il caseato di calcio, affascinato dalla ricchezza di suggestioni e dalle possibilità di immagine che individua nelle superfi ci dei vecchi muri segnati dal tempo, giungendo a esiti simili, per certi versi, alle tele sabbiate di Franco Gentilini, conosciuto nel 1956 a Venezia in occasione della mostra personale presso la Galleria Il Cavallino di Carlo Cardazzo. Mostrano, invece, una certa attenzione al Picasso del “periodo rosa” le opere realizzate tra la fine del decennio e l’inizio del successivo (Ritratto di Delfi , 1959, Roma, collezione privata; Ritratto di Delfi , 1963, Roma, collezione privata) o quelle esposte alla VIII Quadriennale di Roma nel 1959-1960 (La partenza della Luna, Figura- Suonatrice, Figura). Nel 1963 è tra gli artisti selezionati per la Prima antologica degli artisti romani che ha luogo al Palazzo delle Esposizioni a Roma (Natura morta) e nel 1965 è chiamato a partecipare alla IX Quadriennale romana, dove espone Susanna e i secchioni e due Paesaggio con figure, nei quali elabora una tecnica mutuata dallo strappo degli affreschi e basata sull’uso di intonaci scrostati, cretti, collage e di una resina sintetica mescolata a colore e sabbia. Questa ricerca – sottolinea Giorgio Di Genova – sembra, da una parte, “voler ricordare che l e origini di tanti esiti dell’Informale erano proprio nel Surrealismo” (Di Genova 1981, p. 284 ): nei frottage di Max Ernst e, soprattutto, di Yves Tanguy, la cui eco lontana risuona in opere quali La donna e altro, Il giocoliere (1965); Enigma archeologico, L’armadio lilla (1967), Viaggio in una stanza (1968), esposti nel 1968 in occasione della mostra personale alla Fondazione Quercini Stampalia di Venezia, presentata da Giuseppe Ungaretti. Dall’altra, essa trova precise connessioni con le contemporanee indagini informali di Alberto Burri e di Antoni Tápies, per il costante riferimento a una materia “sedimentata” e “antigraziosa”,anche se non legata al cortocircuito esistenziale tra arte e vita quanto, piuttosto, “all’assunto bergsoniano di matière et mémoire” (Carlo Guarienti 2002, p. 10). In ogni caso, le atmosfere evocate dalle immagini di Guerienti trovano puntuali riferimenti nella contemporanea produzione letteraria di autori quali Cesare Pavese, Primo Levi, Dino Buzzati, Goffredo Parise, con i quali egli è in stretto contatto. Alla X Quadriennale del 1972 è invitato con un gruppo di cinque opere: Alla ricerca del tempo perduto, David e io, Autoritratto mascherato o Rebus per un romanzo giallo, Madonna del topolino (1972), Malinconia di un rebus (1971), dove la sua ricerca evolve rapidamente, mossa da una nuova urgenza di plasticità che sembra sottintendere una meditata rifl essione sul valore e il senso della scultura, come suggerisce l’Autoritratto del 1972, in cui l’autore si raffi gura tra due frammenti di statue. Contemporaneamente riprende l’attività grafi ca e, dopo l’illustrazione del Purgatorio per la Divina Commedia curata da Giuseppe Villaroel (Curcio Editore, Roma 1966), nel 1970 pubblica una prima cartella di cinque litografi e, I rebus di Guarienti (Edizioni dell’Aldina, Roma), con prefazione di Raffaele Carrieri, conosciuto tramite Gentilini nel 1968 a Venezia. La seconda cartella, intitolata Il gioco dell’oltraggio (Edizioni Del Naviglio, Milano 1974), è presentata invece nel 1974 da Giovanni Arpino e contiene una serie di omaggi a maestri del passato, come Leonardo, Dürer, Ingres, che rispecchia perfettamente, seppure con diversi mezzi espressivi, la parallela ricerca pittorica volta a ripensare l’arte del passato attraverso il confronto diretto con i suoi maggiori protagonisti. Un confronto cercato anche nel dipinto La Madonna e io (1975, collezione privata), dove il pittore dialoga con l’Annunciata di Simone Martini. All’inizio degli anni settanta risalgono, infatti, i dipinti Omaggio a Ingres (1971, Torino, collezione privata), Omaggio a Raffello (1972, Milano, collezione privata), Interno - Omaggio a Stubbs (1972, Roma, collezione privata); La Gioconda (1973, Milano, collezione privata) e Dürer secondo Zötl, il quale apre la strada al successivo ciclo di lavori. Ispirandosi all’opera di questo artista austriaco di metà Ottocento – già riscoperta da André Breton nel 1956 e pubblicata nel 1965-1966 in Le Surrealisme et la peinture – nella seconda metà degli anni settanta Guarienti organizza un bestiario fantastico di animali rari, inventati, compositi, erede idealmente della zoologia di Jorges Luis Borges e delle iconografi e medievali studiate da Jurgis Baltrusaitis, ma anche dei personaggi metamorfi ci di Alberto Savinio (Omaggio a Savinio, 1975, Amsterdam, cat guarienti.indd 68 21/03/11 15:27 69 collezione privata). Un universo mostruoso che André Pieyre de Mandiargues prontamente defi nisce la Teratologia di Guarienti (Edizioni Franca May, Roma - Edizioni André de Rache, Bruxelles 1976). Su commissione di Carlo Cardazzo, nel 1975 realizza, in collaborazione con lo stampatore Walter Rossi della 2RC, un’incisione di grandi dimensioni (180 x 140 cm), Il banchetto, e realizza litografi e, serigrafi e incisioni su rame per diverse pubblicazioni: il libro di poesie di Giorgio Soavi Perché una cosa è vera e l’altra no (Edizioni Del Naviglio, Milano 1975), la raccolta di poesie inedite di André de Rache Les nuits recomposées (Edizioni Del Naviglio, Milano 1976), il libro di Jacques Crickillon A visage fermé (Edizioni de Rache, Bruxelles 1976) e le liriche di Julio Cortázar Pretesti (Edizioni 2RC, Roma 1977), nelle quali compaiono esseri ibridi, mostruosità animali e vegetali. L’ambito in cui si muove Guarienti è ormai non solo nazionale ma europeo: oltre alla ormai decennale collaborazione con la Galleria Il Naviglio di Milano e con la Galleria Weil di Parigi, dai primi anni settanta espone presso la Galleria Forni di Bologna e, contemporaneamente, stabilisce rapporti duraturi di lavoro con Claude Jongen a Bruxelles, con la Galerie Zerbib e la Galerie de Sein di Parigi, con la Galerie Le point di Montecarlo. A Roma, tramite Gentilini, prende studio in via Margutta 17, proprio di fronte l’abitazione di Federico Fellini, con il quale stabilisce una vivace frequentazione rinsaldata dalla vicendevole amicizia con Goffredo Parise. Nel 1976 le immagini di veri e propri segnali stradali prendono il posto, nelle sue opere, delle citazioni classiche dei pittori antichi. Con il loro forte potere di sintesi, la capacità rappresentativa e l’immediatezza di comunicazione, questi segni non solo rimandano a un universo logico parallelo alla realtà, ma esprimono, nel contempo, una condizione di visione tipicamente moderna che ha i suoi precedenti nella pittura futurista e cubista. Spesso incomprensibili e contraddittori, i segnali stradali di Guarieni rimandano, essenzialmente, all’enigma della scelta, all’incertezza del destino, come suggeriscono titoli quali Ingresso del labirinto del 1977 o come conferma lo stesso Guarienti nell’intervista rilasciata nel 2000 a Giuseppe Appella, in cui racconta di aver trovato nella pittura il fi lo per uscire dal labirinto. Con i segnali stradali prendono, alla fine, posto nell’immaginario dell’artista forme geometriche pure e bidimensionali, che egli inizia a indagare nella limpida cubatura spaziale e nella certezza prospettica di alcune composizioni ispirate, nella perfezione formale e nell’impaginazione, alle nature morte di Juan Sanchez Cotàn e allo spazio rigidamente delimitato delle scatole metafisiche dipinte da Giorgio Morandi. Inizia da qui una ricerca prospettica e spaziale che si farà più insistita nelle opere successive, sia in chiave scenografi ca ed evocativa, come accade in Omaggio a Dino Buzzati (1978, Lucca, collezione privata), autore con cui Guarienti è stato per lungo tempo in contatto; sia sotto forma di dimostrazioni di teoremi matematici, come in Omaggio alla prospettiva dello stesso anno (1978, Bruxelles, collezione privata) o nella serie di acquerelli con figure geometriche esposta alla Galleria Krugier di Ginevra el 979, dove l’artista sembra voler coniugare insieme l’astrattismo geometrico con il De Divin Proporzione di Luca Pacioli, al quale dedica più di un lavoro (A Luca Pacioli, 1977, Ginevra collezione privata). Alla fine degli anni settanta Guarienti ha ormai redatto l’intero repertorio del proprio linguaggio e della propria personale mitologia. Questi motivi iconografi ci ritorneranno nelle opere di tutto il decennio successivo, ma trasfigurati da una progressiva rarefazione dell’immagine e della materia, ben visibile nelle “chiare stanze disadorne”, nelle “aule deserte” descritte da Giuliano Briganti, dove “oggetti familiari [...] trovano un rapporto di vera simpatia sol con l’astrazione di invisibili corrispondenze geometriche” (Briganti 1984, rip. in Sgarbi 1985, pp. 80). Nei primi anni ottanta inizia a collaborare con Beppe e Maria Pia Vescina della Galleria il tempietto di Brindisi, con i quali stabilisce un trentennale rapporto di lavoro e di amicizia. n questo periodo, mentre l’attività grafica prosegue con le illustrazioni per il nuovo libro di André Pieyre de Mandiargues, Crachefeu (Edizioni Nouveau circe parisien du livre, Paris) e per la raccolta di poesie di Osvaldo Patani, Concerto per rane (Edizioni Upiglio, Milano 1983), la luce diviene il tema portante della ricerca pittorica di Guarienti: una lucementale, assoluta, di valore simbolico come quella di Piero della Francesca (Natura morta, 1979-1980, Amsterdam,collezione privata) o, più tardi, di Giorgio Morandi (Natura morta, 1996, Roma, collezione privata). Il problema della luce, presente sin dalla Natura morta del 1950, è ora risolto, da una parte, attraverso il ricorso a un calibrato tonalismo e a una estrema semplifi cazione delle forme che valgono ormai solo quali puri pretesti iconici, come si vede nell’Autoritratto del 1981-1983, oppure nei più tranquilli ed elementari paesaggi, nei quali – scrive Sgarbi – “ciò che conta non cat guarienti.indd 69 21/03/11 15:27 70 è il variare delle ore, ma il non variare delle forme sotto l’unità della luce” (Sgarbi 1985, p. 54). Dall’altra, attraverso la costante ricerca di una materia che sia strettamente coerente con l’immagine e che, anzi, ne sia parte integrante, come mostra la serie delle Lettere da Treviso, Venezia, Napoli, Lucca, Orbetello, Parma, Roma, Turchia del 1984, caratterizzate da un’uniforme preparazione sabbiosa della tela. Attraverso queste superfici opache e scabre, Guarienti insegue una pittura legata “ancora ai muri e all’architettura, in quanto [...] frammento di un affresco strappato”, memoria di un’utopica “arte totale”. Da qui la sua partecipazione alla mostra Art et Architecture ospitata al Centre Georges Pompidou a Parigi nel 1984; la nascita dei quadri Omaggio a Villa Adriana (1991-1993) e il ricorrere del titolo Interno esterno nelle composizioni di metà anni novanta, ideate come paesaggi con frammenti o rovine di architetture. Il “non finito” e il suo potere evocativo – tema nodale dell’arte antica e moderna – è al centro della recente riflessione dell’artista, sia in pittura sia in scultura, influenzata, quest’ultima, dalle opere di Alberto Giacometti ammirate alla Biennale di Venezia del 1956. La scultura è, infatti, una presenza silenziosa e costante nell’immaginario dell’artista, il quale già tra gli anni sessanta e ottanta modella in bronzo alcune teste e busti e, nei primi anni del duemila, inizia a dedicarsi con regolarità a quest’arte, scorgendo in essa persino una libertà creativa maggiore rispetto alla pittura, tanto da ideare un proprio personale procedimento operativo, basato sulla combustione della cartapesta e finalizzato a ottenere particolari effetti di leggerezza e scabrosità delle superfici. A questa esperienza fa da contraltare, nei dipinti, il ricorso alla monocromia o, comunque, a colori dilavati che lasciano trasparire il supporto sottostante con esiti analoghi alla pittura di Balthus e di Anton Zoran Music. Paesaggi e autoritratti costituiscono le due polarità del suo lavoro ultimo. I primi, spesso ispirati alla natura del Viterbese, hanno fornito il soggetto anche a una serie di monotipi realizzati da Guarienti usando come matrici lastre di rame tenute sotto terra per cinque anni. I secondi, trattati il più delle volte come nudi, tornano ad affrontare il tema dell’identità attraverso un’immagine sempre più indefinita, contemporaneamente, sempre più tentata dalla terza dimensione